La Storia
L'origine del progetto
Miata risale all'inizio degli anni '80.
Nel 1979 un giornalista americano di nome Bob Hall ebbe un incontro
con il presidente della Mazda North America Inc. (MANA) Kenichi
Yamamoto: al termine della visita Yamamoto chiese ad Hall quale
vettura avrebbe voluto vedere realizzata dall'azienda giapponese.
Hall suggerì una sportiva leggera (LWS = lightweight sportscar), a
suo parere il mercato USA avrebbe accolto con successo una simile
automobile, tanto più che proprio in quel periodo stavano uscendo di
scena le vecchie rappresentanti di quel genere di vetture, come le
MG B e Midget, le Triumph TR6 e Spitfire, la Fiat 124 Spider e
l'Alfa Romeo Spider.
In seguito, nel 1981, Hall fu assunto al reparto ricerca e sviluppo
della MANA, con sede a Irvine, in California. La struttura fu creata
con lo scopo di studiare nuove idee e progetti ispirandosi alle
esigenze e desideri di quel mercato.
Lì, durante una discussione, lo stilista Shunji Tanaka (all'epoca
impegnato nel progetto della seconda generazione di RX-7) confidò a
Bob Hall il proprio desiderio di cimentarsi nel disegno di una LWS,
e ben presto nella discussione fu coinvolto anche Shigenori Fukuda,
responsabile del reparto; l'idea di Hall era comune ad altri
all'interno della MANA.
Nel 1982 la MANA inviò in Giappone una ricerca sulle sportive negli
USA. I dati raccolti evidenziavano che secondo il pubblico
statunitense occorrevano alcune caratteristiche fondamentali perchè
una macchina si potesse definire una vera sportscar: motore
anteriore, trazione posteriore, carrozzeria convertibile dal disegno
classico e con un'immagine ben definita, di buone prestazioni ma
soprattutto divertente da guidare. Il ricordo delle spider
d'oltremanica era ben vivo negli States.
L'opportunità per realizzare questo progetto venne dopo che il
presidente Yamamoto ebbe l'occasione di provare personalmente una
Triumph Spitfire: ne rimase entusiasta e, anche stimolato dalle
richieste degli USA, decise che anche Mazda avrebbe dovuto costruire
un'auto simile.
Nel novembre del 1983 venne creato un piccolo gruppo di ingegneri
incaricati di occuparsi dei cosiddetti progetti "offline", cioè di
ideare e sperimentare soluzioni inusuali o comunque estranee ai
modelli già in produzione. Uno di questi progetti, siglato Offline
5-5, fu affidato a Masakatsu Kato per essere sviluppato, assumendo
il codice interno P729: l'idea della nuova LWS cominciava a divenire
realtà.
Per quanto riguarda lo stile esterno, la prima decisione da prendere
riguardava il layout generale, essendo possibili a priori tutte le
soluzioni. Vennero infatti presi in considerazione tre possibili
schemi: il classico motore anteriore - trazione posteriore (FR), il
più comune motore anteriore - trazione anteriore (FF), e l'inusuale
motore centrale - trazione posteriore (MR). Si decise di approntare
tre studi distinti per poi metterli a confronto.
I progetti FF e MR furono affidati al centro stile Mazda di Tokyo,
l'altro alla MANA in California, mettendo in competizione i due
team.
Un primo confronto tra le diverse proposte si ebbe nell'aprile del
1984, quando furono presentati i primi disegni: i vertici Mazda però
rinviarono la scelta, consentendo ai centri stile di allestire dei
manichini per un secondo confronto, in settembre.
Il progetto FF, proposto da Tokyo, era una coupé di linea snella ed
elegante e presentava l'indubbio vantaggio di basarsi su uno schema
meccanico che la Casa aveva scelto per la nuova berlina 323:
quest'ultima avrebbe potuto quindi agevolmente fornire tutta la
meccanica senza ulteriori investimenti, sacrificando però la
piacevolezza di guida, che era stata fin dall'inizio uno degli
obiettivi fondamentali del progetto.
L'altro studio giapponese, con schema MR, era anch'esso una coupé
con linea molto simile alla contemporanea Pontiac Fiero. La
soluzione fu scartata a causa di precedenti esperienze negative su
prototipi con analogo schema meccanico e perchè si ritenne che il
mercato fosse già saturato dalla Fiero e dalla neonata Toyota MR2.
La proposta della MANA,
invece, era una vettura spider con possibilità di trasformazione in
coupé mediante il montaggio di un tetto rigido: il manichino venne
battezzato dai suoi creatori Duo 101, proprio per la possibilità di
avere sia il tettuccio pieghevole sia l'hard top. L'auto era stata
pensata con lo schema FR.
La Duo 101 venne prescelta perchè ritenuta la più adatta al pubblico
statunitense, a cui il nuovo modello era prevalentemente destinato:
essa rispettava in pieno le aspettative degli utenti illustrate nel
rapporto del 1982. Inoltre, benchè a prima vista la produzione di
una convertibile potesse sembrare quantomeno azzardata e rischiosa
sul piano commerciale, in realtà occorre considerare che la nuova
auto si sarebbe inserita in un segmento di mercato lasciato
praticamente libero dalla concorrenza (scomparse le inglesi
rimanevano solo la Fiat 124 Spider, prossima all'uscita di scena, e
l'Alfa Romeo Spider, che appariva però bisognosa di aggiornamenti ed
evoluzioni tecniche che la potessero mantenere competitiva nella
nicchia delle sportive leggere).
Deliberati quindi lo schema meccanico e l'impostazione stilistica di
base, nel settembre del 1984 la Mazda affidò ad una società
specializzata britannica, la International Automotive Design (IAD),
la realizzazione del primo prototipo marciante basato sulla Duo 101.
Il veicolo messo a punto dalla IAD, battezzato V705, era molto
simile nell'impostazione alla Lotus Elan di Colin Chapman: il telaio
era infatti a trave centrale e la carrozzeria in fibra di vetro. La
meccanica proveniva dalla produzione Mazda: l'avantreno fu preso da
una RX-7 prima serie, le sospensioni posteriori da una 929 e il
motore (di 1.4 litri) con tutta la trasmissione da una 323 a
trazione posteriore.
La V705 fu pronta nell'agosto 1985 e il 17 settembre una delegazione
Mazda giunse dal Giappone e dagli USA per vedere e provare la
vettura. Il prototipo venne comparato su una pista di prova militare
con una Fiat X1/9, una Toyota MR2 e la nuova Reliant Scimitar. Le
impressioni ricavate furono nettamente positive e la macchina sembrò
in un primo tempo destinata ad essere trasferita in Giappone per
ulteriori valutazioni. Il neo direttore del centro di ricerca
tecnica Mazda, Masataka Matsui, decise però di inviare la V705 negli
USA per poterla esaminare sulle strade per le quali era stata
pensata: la vettura venne quindi trasportata a Santa Barbara e qui
fatta circolare, insieme anche ad una Triumph Spitfire, per saggiare
le reazioni del pubblico. I commenti raccolti durante i pochi
chilometri percorsi furono sufficienti a Matsui per confermarne lo
styling e convincerlo della opportunità di avviarne la produzione.
Ovviamente la V705 necessitava di un grande lavoro di sviluppo per
poter passare da puro prototipo qual era ad auto adatta ad essere
prodotta in serie a costi ragionevoli. Era infatti fondamentale che
la LWS avesse un costo il più possibile contenuto.
Vennero abbandonate soluzioni interessanti ma eccessivamente costose
come il telaio sviluppato dalla IAD e la carrozzeria in vetroresina.
Si optò così per una tradizionale monoscocca con carrozzeria
d'acciaio, mentre meccanicamente vennero impiegate il più possibile
parti già disponibili: il motore bialbero apparteneva alla serie B6
utilizzata sulle 323 sportive, il cambio proveniva dalla RX-7, il
retrotreno dalla 323 Estate e tutte e quattro le sospensioni erano
di tipo McPherson. Può apparire strana la scelta di un motore
convenzionale anzichè rotativo, data la tradizione che voleva le
Mazda sportive azionate da motori Wankel; tale decisione fu presa
per contenere i costi. Infatti il Wankel già in produzione non era
adatto allo scopo e sarebbe stato necessario svilupparne uno
completamente nuovo.
Nel frattempo alla MANA era stato dato il compito di perfezionare
ulteriormente lo styling esterno e un nuovo prototipo fu approntato
entro la fine del 1985, mentre in Giappone si effettuavano degli
studi di fattibilità e di industrializzazione del progetto.
Nel 1986 la MANA, ad opera di Tsutomu "Tom" Matano (considerato un
po' il "papà" della macchina), Koichi Hayashi, Mark Jordan e
Wu-Huang Chin, era al lavoro per realizzare il terzo e definitivo
manichino per quello che era stato siglato dall'azienda come
progetto P729 e in Giappone si cominciò a studiarne la produzione.
Il responsabile del progetto Masakatsu Kato preferì però non
abbandonare il settore della ricerca; l'industrializzazione venne
quindi affidata a Toshihico Hirai, dimostratosi un autentico
appassionato di auto. Egli si rivelò attento anche ai minimi
particolari per rispettare quello che lui stesso definiva il
concetto ispiratore di una autentica sportscar: "the oneness between
horse and rider".
Hirai, dopo i test dei primi prototipi (realizzati sempre dalla IAD
in Gran Bretagna), diede una svolta al programma P729: convenendo
che la maneggevolezza ed il piacere di guida dovevano essere i punti
fondamentali del progetto, rifiutò alcuni dei compromessi fatti in
precedenza.
Le sospensioni McPherson furono giudicate semplici ed economiche, ma
poco adatte allo spirito della vettura; vennero così sostituite da
quadrilateri deformabili, più pesanti e costosi ma sicuramente in
grado di garantire un miglior comportamento stradale. La scocca fu
studiata con l'ausilio di calcolatori per poter avere la massima
rigidità possibile ma, non ritenendo ancora sufficienti i pur ottimi
risultati raggiunti, fu sviluppata una struttura in alluminio
attorno all'albero di trasmissione che aumentò notevolmente le
caratteristiche di rigidità: questa struttura, denominata Power
Plant Frame, divenne uno dei particolari qualificanti della vettura.
Nel settembre 1986 il terzo manichino di stile della MANA venne
terminato ed inviato alla Mazda ad Hiroshima per essere esaminato.
Qui il responsabile del design in Giappone, Shunji Tanaka, modificò
e affinò la linea della vettura, da lui ritenuta stilisticamente
ancora troppo pesante: l'altezza diminuì di 35 mm, il cofano fu
abbassato (anche se meno di quanto Tanaka desiderasse, per esigenze
tecniche) e il passo fu accorciato di 13 mm. Quest'ultima modifica
creò non pochi problemi agli ingegneri, che si videro costretti a
spostare l'alloggiamento della batteria dal vano originale dietro al
sedile del passeggero (posizione che favoriva la migliore
ripartizione dei pesi col solo conducente a bordo) al bagagliaio.
Per limitare comunque il peso venne adottata una batteria di piccole
dimensioni, di tipo motociclistico.
Tanaka inviò il modello finito di nuovo in California, all'inizio
del 1987, dove le sue modifiche (un po' temute dalla MANA) vennero
giudicate positivamente.
Rimaneva da definire il design interno: il compito fu affidato a
Kenji Matsuo e al suo staff, a Hiroshima. Lo stile della plancia,
ispirato a quello di precedenti sportive Mazda come la Cosmo 110S,
prevedeva un tradizionale disegno a T, mentre per i sedili ci si
ispirò a quelli dell'Alfa Romeo Spider, realizzando però dei
componenti più leggeri.
Vale
la pena ricordare anche alcune idee, che non raggiunsero la
produzione, proposte dalla MANA al riguardo: Tom Matano aveva
immaginato una plancia con la parte superiore dipinta nel colore
della carrozzeria, per dare l'illusione che il parabrezza fosse
fissato direttamente sul prolungamento della lamiera del cofano
motore, come sulle vecchie Triumph e Austin-Healey. L'idea fu
scartata per la difficoltà di dare la stessa tonalità di colore a
due superfici molto diverse come materiale e finitura quali erano la
lamiera e la plastica e, soprattutto, per i riflessi che questa
soluzione avrebbe causato nel parabrezza. Il Duo 101 era anche
equipaggiato con una copertura rigida che nascondeva alla vista la
capote ripiegata, per ottenere una maggiore purezza stlistica.
Nella primavera del 1988 le prime 12 auto di preserie, costruite
interamente a mano e numerate da S1-1 a S1-12, furono finalmente
pronte.
Occorreva solo, prima di presentare la P729 al pubblico, trovarle un
nome.
Poiché negli anni '80 la Mazda aveva realizzato dei prototipi da
salone dallo stile innovativo e fuori dagli schemi usuali siglandoli
MX-02 (1983), MX-03 (1985), MX-04 (1987), si ritenne naturale
proseguire nella serie: la nuova spider venne quindi battezzata MX-5
(lo zero fu tolto per rendere più "snella" la sigla). Questa scelta
inoltre chiariva subito il posizionamento della nuova sportiva un
gradino sotto la RX-7 nella gamma Mazda.
Negli USA però furono inflessibili nel pretendere che alla sigla si
accompagnasse anche un nome. All'inizio venne proposto "Laguna", ma
in seguito il responsabile marketing Rod Bymaster trovò su un
dizionario la parola "meed" (che si può approssimativamente tradurre
con "ricompensa" o "lode meritata"), che pare derivare dall'antico
termine tedesco "miata".
Sembrò perfetta: la nuova spider si sarebbe chiamata Miata. Shunji
Tanaka disegnò personalmente la caratteristica scritta apposta sulla
targhetta identificativa.
Una diversa denominazione fu prescelta per il mercato interno:
poichè la produzione Mazda spaziava dalle microcar ai camion, venne
deciso di creare due nuovi marchi per caratterizzare meglio alcuni
specifici prodotti e differenziarli dal resto della gamma.
Il 4 aprile 1989 vennero quindi rese operative le nuove divisioni
Autozam (dedicata alle utilitarie) ed Eunos (riservata ai prodotti
sportivi e di immagine). Ovviamente la nuova spider era perfetta per
far esordire il neonato marchio Eunos; si dovette però rinunciare al
nome Miata, poiché in Giappone esisteva un'azienda con un nome molto
simile, la Miyata: dopo alcune trattative si giunse all'accordo per
cui la macchina sarebbe stata venduta negli USA come MX-5 Miata, ma
con un nome diverso sul mercato interno. Così in Giappone venne
commercializzata come Eunos Roadster, attraverso concessionari
dedicati.
Il 10 febbraio 1989 la Mazda MX-5 Miata veniva presentata per la
prima volta al pubblico, al salone dell'auto di Chicago.
L'auto venne accolta da pubblico e stampa specializzata con
entusiasmo, dando vita alla riscoperta di un concetto di vettura che
pareva perso per sempre.
La ricetta era semplicissima: unire i vantaggi e la piacevolezza
delle vecchie MG e Triumph all'efficienza di un'auto moderna,
mantenendo bassi i costi di acquisto e gestione.
Una meccanica in grado di accontentare i palati fini unita ad una
carrozzeria dotata di una propria personalità ma zeppa di richiami
alle più famose antenate: dalla grande bocca ovale (che ricorda un
po' la Elan e alcune Jaguar), alle maniglie delle porte (ispirate
chiaramente a quelle create da Pininfarina nel 1969 per l'Alfa Romeo
Spider), fino ai cerchi, di design derivato dai classici Minilite
britannici (qui in versione a sette razze anzichè otto per contenere
il peso). Anche i fari a scomparsa, divenuti un po' un simbolo della
MX-5, contribuiscono ad aumentare ulteriormente la personalità della
linea. Perfino sotto al cofano si è curato l'impatto estetico: solo
le scritte sulla testata impediscono di confondere il motore con un
bialbero Alfa Romeo.
La Miata si rivelò subito una instant classic. Il successo di
vendite fu senza precedenti e la macchina divenne famosa in tutto il
mondo, costringendo la concorrenza a correre ai ripari progettando
modelli analoghi.
Dal 1989 al 1997 la Miata è stata costruita, nella sua versione
originale, in 433.963 esemplari, quasi tutti usciti dalla fabbrica
di Hiroshima. Solo nei primi anni '90, nel periodo di massimo
successo commerciale, alcune vetture vennero assemblate
nell'impianto di Hofu.
In particolare ne sono state vendute 114.994 in Giappone, 196.770
negli USA, 16.132 in Canada, 57.092 in Europa e 4.609 in Australia.
|
|